Dio non ha religione
Faustino Teixeira
Inizio
citando un teologo francese, il domenicano Claude Geffré: «La storia religiosa
dell'umanità testimonia non solo la ricerca a tentoni del mistero della Realtà
ultima, ma anche la pluralità dei doni di Dio in cerca dell'essere umano». Già
il mistico musulmano Rumi scriveva che non è l'assetato a cercare l'acqua, ma è
l'acqua ad andare incontro all'assetato.
Mi ha sempre lasciato perplesso l'idea
secondo cui le religioni aspirano a Dio, ma è solo nel cristianesimo che è
possibile incontrarlo. Che le religioni parlano di Dio ma è solo nel
cristianesimo che Dio parla. È la cosiddetta teologia del compimento: le
religioni esprimono una richiesta di Dio che solo nel cristianesimo trova
risposta. Giovanni Paolo II ha dichiarato ad Aparecida, in Brasile, che i
popoli indigeni erano assetati di Dio e che questa sete è stata soddisfatta con
l'arrivo dei missionari che hanno fatto loro conoscere Gesù.
Forse una delle sfide più significative per il XXI secolo
è quella del dialogo tra le religioni. Non è possibile evitare di confrontarsi
con quello che si presenta come un vero imperativo del nostro tempo. Siamo
tutti immersi in un mondo sempre più abitato dagli altri, da identità religiose
diverse che si incontrano o si scontrano. Le differenze sono dinanzi a noi,
ancora più direttamente visibili e a portata di mano, e possono essere oggetto
sia di preoccupazione, di sospetto e di avversione, che di tolleranza, di
riconciliazione e di dialogo. La grande scommessa che abbiamo scelto di fare va
in questa seconda direzione. Come afferma lo scrittore Marco Lucchesi, membro
dell'Accademia brasiliana delle lettere, in un suo articolo dal titolo “Guerras
de religião?”, «lo straniero bussa alla nostra porta. Non c'è altro cammino se
non quello del dialogo: nell'energia crescente, nel vincolo di relazione che lo
costituisce. Il dialogo è un tesoro prezioso, un luogo di avventura, di stupore
e di inquietudine». Anche Panikkar parlava del dialogo come di un'avventura e
di un rischio.
L'apertura dialogale è preceduta da
un'accoglienza calorosa del pluralismo religioso. Non c'è possibilità di
dialogo interreligioso se non si accoglie con tenerezza e con gioia il
pluralismo religioso. Un pluralismo di principio, o di diritto, non un semplice
pluralismo di fatto. Non, cioè, la semplice constatazione della pluralità delle
religioni come una realtà che bisogna accettare ma che non è voluta da Dio,
bensì il riconoscimento che la diversità è accolta con gioia da Dio, che la
diversità è un valore, insostituibile, irrevocabile, che, come affermava Louis
Massignon, c'è una dignità sacra nelle religioni. Un riconoscimento che ci fa
vedere gli altri non come “non cristiani”, ma come nostri amici, come si
esprime papa Francesco quando parla delle altre religioni.
Il dialogo richiede uno sguardo ricettivo
nei confronti della diversità delle fedi. Il pluralismo non è più visto come un
fatto congiunturale e provvisorio, ma inizia a essere riconosciuto nella sua
positività, come pluralismo di principio o di diritto. Papa Francesco
nell'Evangelii Gaudium afferma che «la diversità è bella», che c'è un valore
nella diversità. E questo contraddice l'immagine di un'omogeneità cristiana.
Riconoscere il valore di questa diversità è la sfida più importante per la teologia.
È questo che hanno sottolineato Jacques Dupuis, Claude Geffré, Roger Haight, il
gesuita statunitense autore del libro Gesù, il simbolo di Dio, o Christian
Duquoc, autore del libro Unico Cristo. La sinfonia differita, in cui parla del
valore della diversità e del pluralismo.
Si
tratta di uno spirito nuovo, che richiede apertura e coraggio e che invita la
teologia a rompere con gli schemi tradizionali e ad avventurarsi in nuovi
sentieri. Ci troviamo di fatto a vivere una situazione inedita, una situazione
che suscita una nuova sensibilità, spingendoci a riconoscere la presenza di Dio
e della sua grazia nelle diverse tradizioni religiose. È questo l'orizzonte
destinato a segnare i prossimi passi della teologia: siamo di fronte a un
pluralismo irriducibile. Come ha sottolineato Geffré, i teologi dovranno sempre
di più supportare intellettualmente l'enigma di una pluralità delle tradizioni
religiose nella loro irriducibile differenza. Negli amori come nelle religioni,
c'è sempre uno spazio di silenzio, di irriducibilità, di irrevocabilità. Di
questo parlavano Louis Massignon e Christian De Chergé: della dimensione di
enigma, di mistero presente nelle tradizioni religiose. La diversità non è una
novità: la storia è segnata da questa ricchezza, dall'esistenza di risposte
diverse alle grandi domande esistenziali. Quello che avviene oggi è una
coscienza nuova della presenza, della vitalità e della ricchezza delle altre
tradizioni religiose. È qualcosa che interroga la coscienza cristiana e anche
la teologia cristiana.
Umani e
terrani
Viviamo una situazione planetaria particolare,
caratterizzata dall'interdipendenza e dall'interconnessione. È interessante che
questo termine “interconnessione” compaia tanto spesso nell'enciclica di papa
Francesco Laudato si': si tratta della parola chiave dell'antropologia
contemporanea, la percezione, con tutta l'urgenza che l'accompagna, che siamo
interconnessi con tutte le creature. È la questione decisiva, rispetto alla
quale il dialogo interreligioso rappresenta solo un aspetto limitato. Siamo i
popoli di Gaia, come diciamo in Brasile. Occorre operare una distinzione tra il
termine “umani”, proprio di una visione antropocentrica, e il termine
“terrani”, riferito invece a chi coglie questa dimensione di interconnessione
globale. I terrani sono i popoli di Gaia, contrapposti agli umani, con la loro
visione antropocentrica. Anche papa Francesco ha rivolto una severa critica
all'antropocentrismo.
Il dialogo interreligioso deve essere
vissuto dunque in forma più ampia, in maniera da coinvolgere non solo le
religioni ma anche tutte le spiritualità nella cura della nostra Casa Comune, a
favore di una interconnesione con ogni creatura vivente e non vivente. In
questa prospettiva, in Brasile, io mi richiamo con forza al pensiero dei popoli
originari e in particolare a due leader indigeni: Ailton Krenak, che ha
ricevuto la laurea honoris causa all'Università di Juiz de Fora e David
Kopenawa, autore del libro A Queda do Céu (La caduta del cielo), una
riflessione sull'antropologia indigena e sulla questione della relazione con i
missionari in Brasile.
Purificare
il linguaggio
Nell'ambito della riflessione
antropologica, Lévy-Strauss aveva già avvertito circa le resistenze alla
diversità delle culture: l'essere umano ha grande difficoltà a rapportarsi con
la diversità, soprattutto a causa di un etnocentrismo profondamente radicato.
Per quello che sappiamo, «la diversità delle culture raramente è stata
interpretata dagli esseri umani come veramente essa è, un fenomeno naturale
risultante da relazioni dirette o indirette tra le società. Al contrario, è
sempre stata vista come una specie di mostruosità». Così, reagendo
all'etnocentrismo, l'intellettuale francese proponeva coraggiosamente la difesa
della diversità delle culture in un mondo minacciato dalla monotonia. E
sottolineava come tale diversità debba essere salvata e considerata senza
sorpresa, senza ripugnanza, senza condanna.
Anche la teologia è oggi chiamata a
cogliere questa diversità, prendendo sul serio il pluralismo religioso nel suo
significato più positivo e stimolante. Come ci avverte Claude Geffré, dobbiamo
raccogliere la sfida di una teologia interreligiosa in grado di reinterpretare
la specificità cristiana in funzione della ricchezza di cui possono essere
testimoni le altre religioni, con la loro capacità di favorire una nuova
intelligenza del mistero di Dio. Accogliere il pluralismo di principio
significa rivedere con serietà tutto un patrimonio teologico cristiano fondato
sull'esclusivismo – fuori dalla Chiesa non c'è salvezza - o sulla prospettiva
del compimento, cioè sull'idea che le altre tradizioni religiose costituiscono
una preparazione al Vangelo, trovando il loro completamento nel cristianesimo.
È una visione che caratterizza tuttora la riflessione teologica cristiana e le
resistenze a un cambiamento sono ancora oggi molto forti. La Dominus Iesus, con
la sua distinzione tra fede e credenze religiose, è considerata quasi un dogma.
Nel suo libro Il cristianesimo e le
religioni, Jacques Dupuis pone l'accento sull'importanza di un salto di qualità
nella riflessione teologica al fine di favorire una dinamica di apertura e
collaborazione mutua con le altre religioni. Egli evidenzia tre aspetti
essenziali: 1) la purificazione della memoria, 2) la purificazione del
linguaggio teologico, 3) la purificazione della comprensione teologica. Aspetti
intesi come fondamentali sfide teologiche per il nostro tempo. Occorre lavorare
in direzione di un cambiamento della mentalità e degli spiriti, una metanoia,
per un miglioramento delle relazioni tra le religioni. Occoprre operare un
cambiamento nella comprensione delle altre tradizioni, verso un nuovo modo di
pensare gli altri e il loro patrimonio culturale e religioso.
Noi cristiani vediamo in Gesù il cammino e
la possibilità di salvezza che Dio ci ha indicato. Ma non possiamo
universalizzare questa esperienza particolare come se fosse valida per tutte le
altre religioni. Gesù è il cammino di salvezza vissuto dai cristiani. Si deve
allora utilizzare un linguaggio più rispettoso, anziché affermare, come fa la
Dominus Iesus, che le altre religioni sono «gravemente deficitarie» se
paragonate alla religione cristiana. O sostenere, come ha fatto Giovanni Paolo
II, che i musulmani credono in un Dio distante o che i buddisti sono atei. E lo
stesso si può dire rispetto al concetto di popolo eletto e persino di Regno di
Dio.
Se voglio dialogare con le altre religioni
senza abbandonare la mia identità, io dico che sono domiciliato nel
cristianesimo, che ne sono felice, ma che devo rispettare le altre tradizioni
religiose anche nel mio linguaggio teologico. Senza pensare di essere il
portatore della luce. Come se il cristianesimo fosse la religione di Dio. No,
Dio non ha religione. Dio non è cattolico, come ha sottolineato papa Francesco.
A partire
dai testimoni
Tuttavia,
molti teologi impegnati in questo ambito hanno sofferto una repressione da
parte del Vaticano. In Brasile, quando è uscito il libro di Roger Haight, Gesù,
simbolo di Dio, nessun teologo voleva farne la recensione. Per paura, perché il
tema, con tutto ciò che comporta, è davvero un nido di vespe, per usare le
parole di José María Vigil in riferimento alla cristologia. È difficile
conciliare il dialogo con le altre religioni con l'insistenza sull'assoluta
unicità salvifica di Gesù. E Roger Haight ha avuto il coraggio di dirlo. Dupuis
ha scritto che Gesù non è assoluto, assoluto è Dio. Haight è andato oltre,
parlando della normatività di Gesù per i cristiani, ma mettendo in discussione
l'unicità della mediazione salvifica di Gesù in funzione della prospettiva
dialogale. È una questione spinosa e resta tale anche sotto il pontificato di
Francesco, perché la convinzione che “fuori dalla Chiesa non c'è salvezza” o
che la salvezza c'è compiutamente solo nella Chiesa è entrata così a fondo
nell'immaginario cristiano che risulta assai difficile operare un cambiamento
in questo senso. Ho accompagnato Dupuis negli ultimi anni e sono stato
testimone della sua sofferenza. Immaginiamo gli studenti che entrano nell'atrio
dell'Università Gregoriana e leggono che il prof. Jacques Dupuis non darà
lezione perché sotto inchiesta da parte del Sant'Uffizio. È questa situazione
che lo ha fatto morire.
Ho evidenziato in un mio articolo come
neppure la Teologia della Liberazione riesca a sfuggire all'inclusivismo,
quella prospettiva che concede la possibilità di salvezza anche a coloro che
non sono cristiani, per mezzo della loro inclusione nell'azione salvifica di
Gesù Cristo. La maggior parte dei teologi legati alla TdL è riconducibile a
tale prospettiva. Leonardo Boff se ne è svincolato attraverso la visione
ecologica, grazie a cui è possibile dare un respiro più ampio alla riflessione
teologica. Ma in genere i teologi evitano di entrare in questione relative
all'ecclesiologia e alla cristologia, che sono quelle più spinose.
Da questo punto di vista, sono molto più
facilitati i teologi laici che lavorano al di fuori dell'istituzione
eccelsaistica. Io insegno in un'università pubblica, dove nessun vescovo può
dirmi cosa devo fare nel mio lavoro teologico. Ma quando lavoravo alla Pontificia
Università Cattolica di Rio de Janeiro la situazione era assai più complicata.
Per chi lavora in un'università cattolica la tentazione dell'autocensura è
molto forte.
C'è comunque un lavoro teologico periferico
che si fa strada, spesso in una prospettiva mistica, mostrando una possibilità
diversa di pensare le religioni. Panikkar ha affermato che quando entriamo
nello spazio delle altre religioni dobbiamo toglierci i sandali perché è uno
spazio sacro.
Con l'aiuto della mistica, io penso che tutta
la realtà sia sacra. Teilhard de Chardin ha scritto che non c'è niente di
profano per chi sa vedere. E Ibn Arabi ha detto che tutti noi siamo coinvolti
nell'alito del Misericordioso. Tutto il mondo è permeato dalla grazia. Quello
che serve allora è un'educazione dello sguardo. Essere capaci di percepire la
presenza di Dio in ogni luogo. Come ha affermato Roger Haight, se non riusciamo
a cogliere la positività delle religioni, la loro bellezza, vuol dire che non
siamo in grado di cogliere il significato del Dio Creatore, che stiamo
sfigurando il volto di Dio.
Due anni fa mi è stato chiesto di scrivere
un articolo critico sui pentecostali del Brasile, ma ho rifiutato: non
condivido certe posizioni dei pentecostali, ma penso anche che essi abbiano
offerto un contributo importante rispetto alla dignità dei poveri. E che
pertanto la riflessione teologica sui pentecostali debba essere condotta con
cura e delicatezza.
Per superare le resistenze, in ogni caso,
penso che la via migliore sia quella di non parlare di dialogo e di pluralismo
in forma astratta, ma sempre a partire dai testimoni, come Christian De Chergé
o come Louis Massignon. Quando si parla di dialogo attraverso i “cercatori”,
questi mistici e profeti che vivono sulla soglia, dentro l'esperienza del
limite e della frontiera, le diffidenze sono minori. Davanti ai testimoni c'è
poco da discutere. Come si può criticare una figura come Christian de Chergé,
con la sua trasparenza, la sua onestà con il reale, come direbbe Jon Sobrino?
(Publicado em Adista Documenti n. 12 - 26/03/2016)
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